LA FOGLIA DI F.I.CO.: COSA NASCONDE LA NUOVA GRANDE OPERA BOLOGNESE
Il progetto “F.I.CO.”, Fabbrica Italiana Contadina, un parco giochi del cibo e della sua catena di produzione, è un’idea di Andrea Segrè, presidente del Caab e Direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna, e di Oscar Farinetti, fondatore di Eataly.
Da inaugurare nel 2015, sarà realizzato all’interno del Caab, il mercato ortofrutticolo all’80% di proprietà del Comune (6% Regione). I soci pubblici mettono quindi a disposizione di un progetto privatissimo propri immobili per un valore di 55 milioni di euro, probabilmente con lo scopo (non dichiarato) di ridurre il debito di Caab.
Il resto delle risorse, 45 milioni di euro, vengono da: Coop (che possiede il 40% di Eataly), Granarolo, Manutencoop; Emil Banca e le coop “bianche” con Poligrafici (del Resto del Carlino), Ascom e Confcooperative; banca IMI (gruppo Intesa-S.Paolo), Carimonte (Unicredit) e fondazione Carisbo; a gennaio verrà reso noto quali fondi immobiliari/speculativi asiatici ed europei parteciperanno.
Diverse di queste aziende finanziano opere dannose per le persone e l’ambiente, accumulano risorse riducendo i processi che prevedono manodopera e attaccano una per una le condizioni di lavoro, sfruttando, precarizzando, esternalizzando i lavoratori. Che fortunatamente in qualche caso reagiscono con forza come hanno fatto i lavoratori, soprattutto migranti, della logistica esternalizzata di Granarolo, che non hanno accettato il taglio delle buste paga motivato pretestuosamente con la crisi e hanno iniziato a scioperare, non fermandosi neppure quando sono iniziati i licenziamenti, e raccogliendo una solidarietà crescente. Tra i 45 milioni di euro necessari per il F.I.CO. ci saranno, quindi, anche quelli sottratti ai lavoratori.
La contrapposizione tra fabbrica (urbana) e campagna, che il F.I.CO. suggerisce già col nome, diventa un progetto patinato vocato solo alla convenienza economica con i suoi 40 ristoranti e le «stalle, acquari, campi, orti, officine di produzione, laboratori, banchi serviti, grocery […] Un percorso naturalmente attrezzato con adeguata cartellonistica, audio guide e accompagnatori didattici», che naturalmente dovrà avere sempre abbondanza di prodotti: alla faccia della stagionalità.
L’idea che si debba ricreare in uno spazio ad hoc, tutto sommato ristretto, la complessa esperienza della produzione alimentare, ci sembra pura follia. È facilmente comprensibile che questa è un’azione rientrante nella strategia Bolognese di Eventi capaci di catalizzare il forte afflusso di persone e capitali dovuto all’Expo 2015 di Milano.
Crediamo sia pericoloso relegare la dimensione “contadina” ad un livello di esibizione come si trattasse di un parco divertimenti, o ancora peggio di uno zoo reso produttivo. Così, il progetto, curato come una buona campagna pubblicitaria, promuove e supporta una logica che tende a un’agricoltura da palcoscenico.
I sei milioni di visitatori all’anno a cui ambisce avranno poi bisogno di infrastrutture – che saranno pagate dai cittadini, magari con l’ennesimo aumento del biglietto dell’autobus. Infrastrutture che porteranno i turisti dal centro alla vasta area compresa tra S. Donato, Granarolo e Castenaso, già devastata e inquinata dal punto di vista ambientale e territoriale e che si vuole ulteriormente lottizzare e cementificare. F.I.CO. si troverà a 300 metri dall’inceneritore del Frullo, impianto che espone la popolazione all’aumento di rischi di sviluppare tumori, leucemie e malformazioni fetali, nonché malattie respiratorie e cardiocircolatorie; F.I.CO. farà da traino alla cementificazione di 85.000 metri quadri nell’area adiacente, già prevista dal Comune.
Che lavoratori saranno poi quelli che Farinetti, come dichiara, “gode ad assumere”? Precarizzati ed esternalizzati come i facchini di Granarolo? A scadenza e con pretestuosi stage come quelli di Expo 2015? E quanti posti di lavoro si perderanno nelle attività economiche (nel piccolo commercio, nella ristorazione…) investite dal ciclone F.I.CO..? Perché i decisori non aiutano e valorizzano, piuttosto del F.I.CO., i molti contadini del bolognese che producono cibo di qualità e biologico (anche auto-certificato) e svolgono attività di divulgazione di un altro (e migliore) modo di produrre, consumare e lavorare?
Siamo contro il F.I.CO. perché rivendichiamo il diritto collettivo a decidere dell’uso e destinazione dei territori in cui viviamo e della provenienza dei cibi che mangiamo.
Rivendichiamo la difesa della nostra salute e dei nostri territori, contro la precarizzazione del lavoro e la Grande Opera F.I.CO. che completa l’accerchiamento di Bologna tra Passante Nord, TAV e Variante di Valico.
La natura insegna che i rami del fico, se sovraccaricati, cedono…