Ed ecco che “come da programma” slitta la grande inaugurazione del parco agroalimentare di Bologna, la menzogna F.I.CO.-Eataly World. Lo hanno annunciato qualche giorno fa i media in occasione della conferenza stampa che i promotori di F.I.CO. hanno tenuto ad EXPO.
Secondo il progetto iniziale si sarebbe dovuto assistere al passaggio del testimone dall’Esposizione universale alla Fabbrica Italiana Contadina, ma a noi era chiaro sin da allora che l’inaugurazione di F.I.CO. in coincidenza con la chiusura di EXPO era solo un pretesto per giustificare, sull’onda dell’emergenza, le deroghe alla norme previste per la realizzazione della grande opera.
A tale proposito, si segnala la gravissima decisione dell’ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale), la quale ha esentato i gestori di F.I.CO.-Eataly World dal presentare la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) in relazione ai lavori di costruzione della struttura interessata dal progetto. Da notare che l’ARPA, nonostante la sua teorica autonomia, è un’agenzia della Regione Emilia Romagna, che a sua volta è fra gli investitori pubblici che hanno finanziato il Fondo immobiliare PAI per la realizzazione della Fabbrica Italiana Contadina.
L’apertura sembra quindi ora poter slittare addirittura fino all’inizio del 2017 e, anche se ciò si traduce in un ritardo dell’eventuale ritorno per l’ingente investimento pubblico sull’operazione, non sembra però fermare gli interessi speculativi di Farinetti e dei suoi compagni di ventura, come ad esempio i referenti di quei pezzi di finanza e mondo cooperativo coinvolti in F.I.CO. ma anche personaggi più in vista come Segré e Merola (quest’ultimo, per qualche motivo, quando si tratta di soldi e grandi opere inutili è sempre presente).
Ed il sindaco di Bologna, insieme alla sua Giunta, ha avuto un ruolo decisivo nella vicenda spianando una vera e propria autostrada al progetto di Farinetti e cedendo in comodato gratuito a Eataly una parte delle aree del Caab per 40 anni, un patrimonio pubblico del valore di ben 55 milioni di euro, sottraendolo così alla collettività (assegnazione con affidamento diretto senza alcun bando di gara, come evidenziato in un’apposita interrogazione in Parlamento).
F.I.CO. – Fabbrica Italiana Contadina. Lo definiscono il parco divertimenti del cibo e della biodiversità, dove i bambini potranno vedere e assaporare alimenti osservandone la trasformazione. Ci chiediamo se questa visita turistica comprenda anche la visita all’inceneritore a solo 1 km di distanza da F.I.CO. (soprattutto con le prospettive che si aprono con l’art.35 dello SbloccaItalia, il quale consente ad alcuni impianti la saturazione del carico termico incenerendo anche rifiuti provenienti da altre Regioni e rifiuti speciali pericolosi con entrate aggiuntive per la Regione che incasserà 20 euro per ogni tonnellata di rifiuti di provenienza extraregionale) o se magari ci sarà un approfondimento sulla forza lavoro che verrà impiegata nella Fabbrica Italiana Contadina: stagisti sfruttati, lavoratori costretti a contratti interinali e a termine o ancora studenti tirocinanti, altra fascia sottoposta ad un futuro lavoro gratuito con pagamento in aspettative.
Ecco come i media hanno riportato le news su F.I.CO. nei giorni scorsi, pontificando sulla supposta eccellenza di alcuni marchi ed aziende che saranno presenti nella struttura una volta terminati i lavori:
Articolo del Corriere di Bologna del 26 ottobre 2015
Articolo di Repubblica Bologna del 26 ottobre 2015
F.I.CO., come è stato per Expo, viene rappresentato come il futuro del mercato e della biodiversità, ma altro non è che l’ennesima vetrina dietro alla quale si nascondono speculazione immobiliare e finanziaria, sfruttamento e devastazione del territorio, imposizione di modelli di consumo basati sull’agricoltura industriale, spreco di risorse pubbliche a favore di pochi imprenditori e a danno delle fasce lavoratrici e dei piccoli produttori agricoli.
Ma perché limitarsi a descrivere queste congetture quando già oggi possiamo vedere alcuni “effetti collaterali” sorti in seguito all’implementazione del progetto?
FICO sta infatti procedendo a smantellare il CAAB, mercato pubblico di Bologna, dove fra l’altro da diversi anni i consumatori possono anche acquistare direttamente dagli agricoltori prodotti che sono biologici non per marchio, ma per produzione reale.
L’inaugurazione di F.I.CO. dunque slitta, ma nel frattempo cosa ne sarà del mercato ortofrutticolo del CAAB?
Come Foglia di Fico abbiamo deciso di aprire le attività di questo autunno 2015 proprio con una visita al Caab per verificare lo stato dei lavori di realizzazione della NAM (Nuova Area Mercato), cioè di quella porzione del Centro Agroalimentare in cui verranno spostati gli operatori del Caab (produttori, grossisti, logistica,..), i quali tra circa 2 mesi lasceranno gli spazi attuali dove verrà realizzata la Fabbrica Italiana Contadina.
Nel corso della visita al Caab abbiamo rilevato alcune perplessità e criticità dalla viva voce di alcuni produttori che operano lì sin dall’inaugurazione del Centro Agroalimentare nel 1999.
In particolare, i loro rilievi, mossi con spirito costruttivo, si sono concentrati su tre fronti:
1) spazi e superfici disponibili;
2) rapporto dicotomico fra mercato ortofrutticolo e GDO (Grande Distribuzione Organizzata);
3) ruolo del CAAB nel contesto cittadino (incluso l’avvento di F.I.CO. e le relative prospettive).
Sintetizziamo di seguito quanto raccolto nel corso di un recente scambio di idee con alcuni produttori del Caab, titolari di aziende agricole del circondario di Bologna.
SPAZI E SUPERFICI DISPONIBILI
Il tema degli spazi interni ed esterni degli operatori del Caab dipende sia dalla loro tipologia (produttori, grossisti, logistica,…) sia dalle esigenze specifiche che possono presentarsi per ciascuna categoria rispetto anche alle diverse fasce di utenza con le quali ogni categoria si trova ad interagire.
Le corsie interne dell’attuale struttura del mercato ortofrutticolo sono larghe 12 metri. Nella nuova struttura della NAM saranno di 8 metri, che possono andare bene per le situazioni di traffico medio, ma quando si progetta una struttura bisogna tararla sui picchi di volumi di traffico, per cui è lecito attendersi qualche criticità nelle ore di punta.
Per quanto riguarda le superfici interne, anche se le superfici assegnate sono identiche a quelle attuali, le superfici di pertinenza sono nettamente inferiori.
Quando si parlava dello spostamento si era detto che le condizioni di vendita sarebbero rimaste immutate, ma in realtà non è così. Forse si è giocato un po’ su un equivoco, in quanto la società CAAB ScpA pare intendesse le condizioni di vendita per le quali gli operatori pagano un servizio, mentre gli stessi operatori si aspettavano di trovare la disponibilità degli stessi spazi di cui hanno goduto finora, anche quelli per i quali non si pagava un corrispettivo, cioè le aree libere e gli spazi vuoti comuni.
Ogni singolo modulo è quindi di 5 mq (corrispondenti a 4 pedane per ciascun modulo), non prevede spazio attorno, perché sviluppa lo spazio nel senso dell’altezza, e quindi questa configurazione non sembra adattarsi alle esigenze di vendita espresse dai produttori per agevolare l’acquisto da parte della loro utenza tradizionale.
Gli operatori hanno chiesto le concessioni sugli spazi, ma le hanno avute solo sugli spazi assegnati, non su quelli liberi.
Le condizioni di vendita saranno uguali a quelle attuali, solo nel senso che si concederà lo spazio per il pianale e la corsia d’accesso, ma non sarà la stessa cosa senza gli spazi di pertinenza liberi attorno alle pedane. Una differenza non da poco nella gestione quotidiana, che finirà per tradursi per molti in un costo aggiuntivo.
Molti produttori, visto il progetto, hanno chiesto spazi aggiuntivi. La Direzione del Caab, per accontentare queste richieste, ha presentato un nuovo progetto dove la metratura complessiva era identica, il numero degli spazi dati in uso era aumentato, mentre era diminuito lo spazio di movimentazione comune. E quindi anche beffati, perché la Direzione può dire di avere accolto le richieste e addirittura incassare di più a parità di spazio. Prima le piazzole erano a blocchi di due con file di passaggio per tutte, ora sono a blocchi di quattro con le due interne chiuse.
Ad esempio, quando si gira col carretto l’acquisto è più frazionato e c’è bisogno di più spazio. In genere i grossisti lavorano di più a pedane, mandano via i camion a pedane intere, quindi hanno bisogno di meno spazio, sebbene siano critici anche loro. Non è che siano contenti della situazione, evidenziano anche loro alcune difficoltà. Soprattutto nelle aree esterne: i camion che vengono fuori rischiano di essere di intralcio al traffico sulla strada a due corsie (una per senso di marcia), soprattutto nelle ore di punta del mercato. Molti operatori sono anziani… si lavora di notte con una visibilità ridotta avendo meno spazi nel mercato, molta merce dovrà rimanere sui camion e quindi ci sarà una movimentazione maggiore nelle aree di scarico.
Nel settembre 2013 è stato presentato agli operatori il progetto relativo alla Nuova Area Mercato (2 versioni diverse + quello attuale).
I produttori si sono astenuti perché era stato chiesto di esprimersi dopo aver visto il progetto soltanto pochi minuti prima.
I grossisti avevano discusso con gli ingegneri, quindi avevano maggiore consapevolezza ed hanno votato.
Nel progetto iniziale era tutto con scarichi a sbalzo senza tenere conto delle esigenze dei dettaglianti. Nel progetto successivo avevano dimezzato i parcheggi che prima erano tutti per i produttori.
Nel corso degli anni si è creata una certa criticità della struttura, che non solo era sovradimensionata, ma era anche caratterizzata da scarichi a raso. I camion hanno bisogno però di scarichi a sbalzo, che però sono attualmente presenti solo nell’area degli operatori della logistica (Muda e Cofamo) e di 2 autotrasportatori.
E avendo superfici notevolmente vuote sopra (nella parte alta della struttura), queste sarebbero ricadute negli anni sui costi di manutenzione.
Una parte degli operatori più grandi sul fronte dei grossisti, in seguito alla chiusura di diversi magazzini, hanno accettato di spostarsi in una struttura nuova senza costi aggiuntivi.
In certe zone non si riesce a compensare, aumentando così i costi di gestione. A spazi ridotti si può lavorare incrementando i costi (più personale, più macchinari) e questo non è accettabile nella situazione attuale. Con gli stessi spazi alle medesime condizioni il mercato viene quindi rimpicciolito.
“Se io ti rimpicciolisco e riduco anche gli spazi operativi, oltre a quelli non utilizzati, è diverso. Ti tolgo quelle aree che non venivano utilizzate” è la riflessione di una produttrice del Caab.
“In questa voglia di voler cambiare ci si è messa la politica. Il Comune ha preso la palla al balzo con l’idea di Segré, per liberare questa area. Se il progetto va bene, il Comune rientra delle quote investite capitalizzandole. Se invece non va bene, c’è il rischio che tutta l’area venga convertita su altro” aggiunge un altro produttore agricolo.
Basterebbero pochi metri quadri in meno per FICO e qualcuno in più per gli operatori. Più spazio rimane per FICO, più il Comune avrà da vendere qualcosa.
La speranza per la nuova struttura del mercato ortofrutticolo era che non si creassero altre criticità presenti nella vecchia struttura, ma a quanto pare hanno realizzato il pavimento perfettamente pari, hanno fatto solo delle feritoie per l’acqua. Gli stessi errori che hanno fatto nella vecchia struttura, li hanno fatti anche al NAM (Nuova Area Mercato), dove verranno trasferiti produttori e grossisti, e quindi si riscontreranno analoghe difficoltà a pulire.
In qualsiasi realtà commerciale c’è una forte conflittualità.
“Noi produttori siamo le pecore nere” (ndr all’interno del Caab) dice il produttore agricolo, sottolineando i rapporti di forza in atto al Caab, dove la parte del leone viene giocata dai nuovi arrivati Farinetti & Co., al cui ruggito possono tutt’al più rispondere i grossisti. Ma le aziende dei produttori agricoli hanno un peso del tutto marginale nelle scelte del Caab: la loro rappresentanza nel Caab passa dalla Commissione del mercato, che è però solo un organo consultivo.
Al Caab adesso ci sono produttori singoli, il Consorzio AgriBologna e i commercianti (grossisti), oltre agli operatori della logistica.
“Ma il punto focale di un mercato è il fresco ed al Caab il fresco lo fanno solo i produttori” sostiene uno di loro.
Il CAAB ScpA ha presentato ai produttori le domande di accettazione dello spostamento e le hanno fatte firmare. Nel mondo contadino la parola data è fondamentale e poiché la società Caab aveva garantito che le condizioni di vendita non sarebbero cambiate, i produttori si sono fidati pensando di essersi accordati con dei galantuomini…
“L’unico momento in cui il Comune è intervenuto è stato quando noi (ndr. i produttori) abbiamo fatto una lettera congiunta in cui lamentavamo delle criticità e abbiamo chiesto una commissione. E in quel caso si sono confrontati la dirigenza del Caab e l’assessore di riferimento” ribadisce una produttrice agricola. A tale proposito, la scorsa estate i produttori hanno chiesto al Comune di effettuare una visita al Caab per affrontare le questioni poste, ma ancora non si è fatto vivo nessuno.
L’assessore Gabellini ha detto che tutte le imprese nuove che si vanno ad insediare in un posto prevedono più spazio di quello che realmente avranno bisogno. Ma noi ci stiamo stringendo!
L’unica realtà che sta realmente iniziando da zero e della quale nessuno può dire né il fatturato né quanta gente potrà venire è FICO.
“Quello che non trovo giusto è che si vada ad inficiare l’attività degli operatori già al Caab” afferma un produttore, aggiungendo che si tratta di attività con 3000 dipendenti e con un reddito medio da 1000 euro al mese.
Il Caab ha a disposizione un’area da 20 mila mq in più sul lato dell’inceneritore. “Perché non utilizzarle subito?” si chiede uno dei produttori pensando alle esigenze degli operatori che si sposteranno.
Di tutte le corsie di entrata disponibili, per tutti gli attuali operatori del Caab (produttori, grossisti, etc.) sono state riservate solo le due corsie esterne (la 7 e la 8).
“Queste cose non si fermano” afferma sconsolato un produttore. “L’unica cosa è fare pagare a chi ha sbagliato. Vigilare se fanno degli errori e del danno alla comunità e che queste persone paghino… Se al mercato non dai spazio, perché dici che non si può e poi a FICO dai tutto e di più… allora chi sbaglia?”
Se i produttori almeno in teoria non pagheranno nulla, ai grossisti spetta pagare una quota in seguito al trasferimento nella Nuova Area Mercato (NAM).
RAPPORTO FRA MERCATO ORTOFRUTTICOLO E GDO
Il Caab nel corso degli anni ha perso in termini di attrattività ed anche alcuni tentativi di portare dentro nuove attività (ad esempio il commercio dei formaggi) non sono andati a buon fine, vuoi perché si trattava di prodotti non adatti alle logiche di quello specifico mercato, vuoi per incapacità congenite della classe dirigente locale.
C’è da dire anche che alcune dinamiche si proiettano al di sopra dei contesti locali e proprio a cavallo fra anni ’80 e ’90 la distribuzione nel settore agroalimentare ha vissuto trasformazioni profonde. Se prima realtà come la Coop acquistavano molto al mercato ortofrutticolo, nel corso degli ultimi decenni la GDO ha sviluppato una logistica distributiva basata su centrali d’acquisto proprie ed oggi si assiste ad un perfetto parallelismo nelle reti distributive che non prevedono (se non per pochi prodotti specifici) l’incontro fra GDO e mercato ortofrutticolo. E ciò si traduce in una netta riduzione dei volumi di vendita realizzati all’interno del CAAB e nel braccio di ferro fra GDO e grossisti del mercato ortofrutticolo, in cui questi ultimi hanno spesso la peggio.
Ciononostante, la vendita al dettaglio dei mercati rionali e delle botteghe di ortofrutta di Bologna e dintorni rappresenta una quota di mercato considerevole e quindi appetibile per la GDO. Da qui i rischi connessi alla presenza all’interno del Caab di un leader della GDO come COOP, che attraverso Eataly (di cui detiene il 40% delle quote) potrebbe utilizzare F.I.CO. come un cavallo di Troia e mettere piede nel campo della concorrenza spiazzando le attività dei grossisti che riforniscono quei dettaglianti di cui sopra. I piccoli mercati (quelli che fanno riferimento a piccoli produttori) sono la memoria storica di gusti, produzioni tipiche, autoctone non realizzabili su larga scala e quindi non gestibili da parte della GDO, ma rappresentano una minaccia perchè se il consumatore viene in contatto con i prodotti di tali mercati si accorgerebbe della differenza con quelli della GDO raccolti acerbi e portati a maturazione. D’altronde, i produttori non possono vendere tutta la produzione nei mercatini e quindi se si toglie il mercato si elimina il produttore, o meglio un certo modo di fare agricoltura con la conseguenza che il produttore sarà portato ad aderire ad un’organizzazione di produttori o ad una coop e seguire i disciplinari, modificando il tradizionale metodo di produzione.
Se inizialmente il CAAB era il mercato ortofrutticolo cittadino, il mercato pubblico di Bologna e provincia (nonché riferimento per località ben più lontane), in seguito le amministrazioni comunali di allora consentirono progressivamente tramite licenze, autorizzazioni e cambi di destinazione d’uso l’apertura di piattaforme a cooperative e privati che andavano contro la difesa dell’interesse pubblico. Interesse che consiste anche nel tutelare la redditività di un bene pubblico, di un mercato pubblico.
Un altro nodo in cui si evidenzia la dicotomia fra GDO e mercato ortofrutticolo riguarda la biodiversità, che non viene tutelata da FICO e dalla GDO, ma dagli agricoltori.
Se si considera il “fresco”, il supermercato meno prodotti ha sullo scaffale e meglio sta, perché sul fresco più hai varietà di prodotto, più hai rimanenze e quindi ci rimetti.
Quindi è una tendenza quella di avere meno prodotti nell’offerta di fresco della GDO e pertanto si tende ad avere meno mercati, pochi produttori che possono fare delle particolarità.
Al contrario, i produttori del mercato ortofrutticolo ed in genere i produttori fino a certe dimensioni hanno maggiore interesse e maggiori possibilità in termini di biodiversità della propria offerta, perché il mercato consente l’interazione con la gente e si possono quindi spiegare i prodotti al consumatore che può sceglierli così con maggiore facilità.
Il mercato ortofrutticolo permette di avere sbocchi economici e sostenersi nella quantità sufficiente a mantenere le conoscenze rispetto a quei prodotti. Ad esempio, nel segmento delle insalate si può pensare a come alcune varietà (lattuga rossa, foglia di quercia,…) sarebbero scomparse senza quei produttori che continuano a coltivarle, perché sugli scaffali della GDO è difficile che ci sia spazio per tali prodotti.
Oltre al rapporto con la GDO, ci sarebbe poi da considerare il rapporto con la distribuzione specializzata, che è la categoria nella quale dovrebbe rientrare F.I.CO.-Eataly World. Ed in tal caso il nervo scoperto, nonché la potenziale causa occasionale potrebbe essere la questione degli orari di apertura. Nella versione originaria del progetto F.I.CO. Si prevedevano orari diversi per l’apertura: F.I.CO. aperto dalla mattina alla sera e il mercato ortofrutticolo aperto durante la notte, in modo da non accavallare i flussi di utenza diversi per tipologia, abitudini ed esigenze logistiche.
Adesso sta invece prendendo piede, forse sull’onda della movida di Expo, l’ipotesi di un’apertura notturna anche per la Fabbrica Italiana Contadina…insomma un “F.I.CO. by night” che potrebbe fare incavolare anche gli esercenti dei locali del centro, come è già successo a Milano negli ultimi mesi.
Di conseguenza, l’estensione degli orari di apertura di F.I.CO. Cozzerebbe contro le esigenze connesse ai flussi di traffico nella fascia oraria dell’utenza del mercato del Caab, non solo in termini di ingorghi e di criticità logistiche, ma anche per la diversità delle tipologia di utenza: da F.I.CO. ci andrebbero consumatori/turisti, mentre al mercato ortofrutticolo il target è rappresentato principalmente da commercianti al dettaglio e da piccoli grossisti.
In fondo F.I.CO. è solo un supermercato, una GDO che vuole darsi un’immagine di qualità. Una produttrice del Caab ci dice che la Fabbrica Italiana Contadina ha scippato l’immagine che crea il nome “contadino” su chi va ad acquistare al mercato contadino. I contadini sono stati scippati del loro luogo di vendita (ndr il mercato ortofrutticolo del Caab) e del nome “contadino”.
La città è stata scippata dell’opportunità di far sì davvero che il contadino possa continuare a vendere nel luogo pubblico, vendere sul mercato cittadino all’utenza, ai consumatori.
Quindi, in definitiva, F.I.CO. non è una continuazione o un’integrazione rispetto all’idea originaria del Caab, ma una vera e propria alternativa, un elemento di rottura che si contrappone sin da subito, ancora prima della sua realizzazione, in netta antitesi con le altre realtà del mercato ortofrutticolo, spiazzando la loro attività e la loro possibilità di restare su quel mercato.
RUOLO DEL CAAB NEL CONTESTO CITTADINO
Il Caab è il Centro AgroAlimentare di Bologna ed eredita quello che fu il ruolo del mercato ortofrutticolo cittadino di via Fioravanti, rappresentando la sua nuova ubicazione in periferia ma rappresentando qualcosa in più e qualcosa di diverso, grazie alla moderna piattaforma logistica del nuovo insediamento.
In origine al Caab si prevedevano molte più realtà di quelle che in seguito vi misero radici. Era previsto ad esempio l’insediamento di un centro ittico, di un centro florovivaistico e di un cash and carry, ma poi la realtà del Centro Agroalimentare si è dimostrata più avara e parte delle aree disponibili non è stata mai occupata, producendo una situazione debitoria che è diventata nel corso degli anni sempre più strutturale. Al di là delle colpe di chi negli anni ’90 ha progettato e di chi ha avallato una struttura sovradimensionata rispetto alle reali esigenze, ma anche rispetto alle ipotesi verosimili, le criticità si sono amplificate in seguito a precise responsabilità delle diverse gestioni che si sono succedute sia nell’amministrazione del Caab che nell’amministrazione comunale.
“Il Caab era il mercato a Km0 per eccellenza. Venivano per il taglio fresco di notte per scaricare alle 14:00 all’Isola d’Elba” ricorda una produttrice del Caab. Il mercato apriva verso le 4:00 del mattino, i camion degli acquirenti caricavano tutta la merce presente nel mercato, poi aspettavano il taglio fresco per completare e partire per le diverse destinazioni. Nelle campagne si cominciava a tagliare alle prime ore dell’alba, alcune aziende dotavano i propri operai con i caschetti luminosi per anticipare i tempi. I primi a ritornare arrivavano verso le 7:30 rifornendo anche il dettaglio locale e si andava avanti anche fino alle 14:00.
Una delle questioni irrisolte del Caab è sempre stata la sua localizzazione, che l’ha reso sempre una realtà avulsa dallo sviluppo integrato col contesto urbano, ma quella localizzazione consentiva d’altra parte dei vantaggi in termini di collegamento snello ed agevole coi principali collegamenti extraurbani.
In una delle immagini del progetto originario, ricorda una delle produttrici del Caab, il Caab era “abbracciato” da un treno che arrivava proprio in prossimità dell’ingresso della struttura. Poi, pare sia risultato troppo costoso e quel progetto venne accantonato vanificando l’opportunità di spostare il traffico dal trasporto su gomma a quello su rotaia.
Per i visitatori di Eataly World, nella remota prospettiva che venga realizzata la linea del People Mover fino a F.I.CO. (che diventa a questo punto un pretesto forte per fare pressioni sulla realizzazione della monorotaia e sulla sua estensione), si pensa all’individuazione di punti d’appoggio, parcheggi scambiatori (probabilmente il Meraville o i centri commerciali di Via Larga) per poi proseguire su navette elettriche fino a FICO. Una delle possibili aree di parcheggio potrebbe essere quella dell’Interspar, un centro commerciale che sarà realizzato in zona Via Larga al posto di un campo che era coltivato a cereali.
A pochi metri dal Caab c’è un fascio di binari del SFM (Servizio Ferroviario Metropolitano) e, a nostro avviso, il ripristino di quella linea sarebbe stata la scelta più economica ed efficace e avrebbe scongiurato il rischio People Mover, ma evidentemente dietro ci sono ragioni ed interessi più forti del buon senso.
Spaventa comunque l’idea prevista dal progetto che la superficie destinata a parcheggio sia molto più ampia rispetto alle aree didattica e di vendita.
ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
In definitiva, la storia della grande opera F.I.CO. si connota per le sue tinte fosche, per la mancata trasparenza su vari aspetti che ne hanno contrassegnato la genesi e l’implementazione, per il mancato coinvolgimento della cittadinanza nella decisione alla base della sua realizzazione e per i numerosi conflitti d’interesse che toccano i protagonisti della vicenda (Eataly, Coop, CCC, banche, soggetti pubblici, etc.).
Ma le implicazioni di F.I.CO. si proiettano non solo all’interno dei confini dell’area del Caab (lo spiazzamento delle attività degli attuali operatori del Centro agroalimentare, il debito pubblico determinato dall’opera, la probabile precarietà lavorativa cui darà luogo), ma anche all’esterno della struttura, in quanto presupposto ed occasione di rilancio di grandi opere come il People Mover, ma anche del centro residenziale oggetto della speculazione immobiliare nelle aree Annesse Sud e Pioppe (quest’ultima è un’area coltivata), dove non solo si assisterà alla cementificazione su suolo agricolo per ben 85 mila mq, ma anche al successivo processo di gentrification nel cuore del quartiere del Pilastro.
Inoltre, con riferimento a F.I.CO. si azzardano sempre cifre relative all’indotto, ma non si menzionano mai gli effetti sul “dedotto”, cioè le economie negative che si registreranno sulle altre attività in seguito all’insediamento di F.I.CO. : dalla ristorazione e dalle botteghe di prodotti gastronomici del centro storico di Bologna alle fattorie didattiche che ospitano quelle scolaresche (bisognerebbe chiedere alle associazioni di categoria del settore agricolo – Coldiretti, Confagricoltura, CIA – come pensano di tutelare le aziende associate che hanno investito in multifunzionalità, fattorie didattiche,…). Circa 2 milioni di studenti verranno infatti dirottati su F.I.CO. grazie ad un accordo fra Eataly ed alcuni ministeri del Governo Renzi (MIUR, Ministero dell’Ambiente e Ministero delle Politiche Agricole)…d’altronde l’amicizia fra premier e Farinetti non è un segreto!
E se 2 milioni di studenti grazie a tale intesa si recheranno in gita a F.I.CO. tramite una vera e propria commessa pubblica (ancora una volta senza bando), ciò significa non solo che non visiteranno le fattorie didattiche con la conseguente diminuzione di reddito per aziende agricole e agrituristiche, ma anche che diserteranno altre destinazioni come le città d’arte, solo ed unicamente per visitare una fiera dove situazioni di campagna vengono ricostruite in modo artefatto e dove potranno mangiare prodotti che possono trovare anche al supermercato.
Infine, ma non ultimo, le ripercussioni di F.I.CO. si riscontrano anche sulla sovranità alimentare, cioè sul diritto che ha una comunità locale di autodeterminarsi rispetto ai modelli di produzione, distribuzione e consumo del cibo, senza dover quindi subire modelli imposti dall’alto e dall’esterno, che nel caso specifico di F.I.CO.-Eataly World fanno capo all’agricoltura industriale anziché a quella agricoltura contadina che andrebbe invece difesa a livello locale valorizzandone ad esempio le diffuse esperienze di agricoltura biologica e Km0.
La Foglia di Fico